domenica 25 febbraio 2018

Giriamoci i pollici


La sicurezza e il reddito di cittadinanza. Quì si gioca la partita

Ascoltiamo in questi giorni, le dichiarazioni programmatiche dei leader politici. Un vortice di proposte che nella maggior parte dei casi non verranno neppure presentate nelle aule Parlamentari perché prive di copertura finanziaria, incostituzionali e soprattutto fuori da ogni logica civile e morale.
Questo chiaramente non vuol dire che non se ne potrà discutere nelle Commissioni di merito dove comunque si potrebbero limare, aggiustare o addirittura modificare, e di questo sono convinto che i partiti politici ne terranno conto, anche per non smentirsi di fronte all’opinione pubblica e ai propri elettori.
Tutti, e dico tutti, prevedono la partecipazione dello Stato a contribuire economicamente per le famiglie povere, per i disoccupati, per le donne, per i giovani. Le risorse dovrebbero arrivare da varie parti del sistema; chi dice dal risparmio su vitalizi, privilegi e stipendi d’oro dei parlamentari e loro lacchè, chi predilige prenderli dai cittadini grandi evasori, chi invece propone di tagliare i rami secchi della pubblica amministrazione, chi invece propone di abolire le partecipate, e chi, nonostante che le elezioni siano così vicine, continua ad immaginare nuovi prelievi con disparate soluzioni. Staremo a vedere, ma la cosa che più rabbia è il fatto che nessuno, nelle loro proposte, indichi termini e soluzioni “tecniche” a ogni provvedimento promesso e dichiarato. Bene giriamoci i pollici e pensiamo attentamente a quello che dicono o che abbiano già detto questi leader in campagna elettorale.
Matteo Salvini, che in tanti definiscono razzista, populista, che sta cavalcando l’onda del malcontento proponendo l’assurdo, pare sia il più competitivo, forse perché ci mette la faccia o forse perché evidentemente la politica ha paura di certa verità. Non ritengo Salvini il “salva Italia “, ma è l’unico che parla di sicurezza, e la sicurezza è la pietra miliare di una società libera. Certo non sarà facile mettere ordine nella società italiana e garantire l’incolumità degli italiani in tempi brevi, ma almeno qualcuno deve provarci, e soprattutto crederci.  Non ci ha provato la sinistra in questi anni perché forse preoccupata ad occuparsi di altre cose, soprattutto di come arginare il fenomeno migratorio, vera palla al piede del PD al governo. Un fenomeno che non si ferma, che non si blocca così senza intervenire drasticamente nella sostanza. Non ha più alcun senso farli arrivare, non c’è più posto per loro se non nei centri di accoglienza dove assicurargli mangiare e dormire. O lasciarli a chiedere elemosine davanti negozi di ogni tipo, bar, tabacchi, farmacie, e poi davanti ai semafori, se non a svolgere la funzione di posteggiatori abusivi, reclutati e organizzati tra l’altro dalla malavita. Spaccio di droga e prostituzione sono ormai nelle loro mani da anni e anni e le forze dell’ordine hanno le mani legate, la legislazione in materia è scarna di sanzioni detentive, e loro lo sanno bene.
Un altro programma importante che sarà determinante per queste elezioni è il reddito di cittadinanza o comunque un reddito per disoccupati e giovani in cerca di prima lavoro. Qui ci si gioca tanto, e diverse sono quindi le ricette messe in campo, ma quella più golosa per gli italiani è sicuramente la proposta del movimento 5 stelle che prevede un reddito pari a circa mille euro al mese per un padre di famiglia per affrontare i problemi della vita quotidiana fino a quando non si trovi un lavoro e comunque fino alla scelta di un massimo di tre lavori. Qui il problema è dove trovare questi soldi per finanziare una norma che se da un lato può aiutare i giovani ad inserirsi dall’altro può provocare ai giovani stessi un incentivo a cullarsi di questo aiuto per non cercare affatto il lavoro.
Un sostegno alle famiglie povere anche per Forza Italia che propone altresì anche il taglio alle tasse parificandole al 23%, ma c’è addirittura chi propone una aliquota fissa al 15% per far muove l’economia del Paese e far nascere nuove imprese sospinte dalla tassazione al ribasso.


giovedì 22 febbraio 2018

La sanità in Sicilia. Cronaca di un percorso vissuto


In generale dico che funziona, male, ma funziona. Un'organizzazione ancora imperfetta, dove i vertici sembrano latitanti, tranne per poi ammonire o contestare i subalterni, Infermieri e OSS, questi sicuramente più vicini ai problemi dei pazienti. Problemi che non sono soltanto di salute, ma che possono anche essere fisici, morali, sociali, comunque personali. Gente che vive distante chilometri e chilometri dall'ospedale, che lascia il parente ammalato dentro il nosocomio ed è costretta ad andar via e non potergli stare vicino a confortarlo, consapevole che comunque potrebbe anche non vederlo mai più. 
Non si è nello stato d'animo giusto, ed è inconfutabile il fatto che la presenza di un congiunto in un momento così delicato possa aiutare psicologicamente il paziente a superare il momento critico. NO, assolutamente, non si può restare, se non pochi minuti per il "ricevimento". NO anche davanti a casi di inabilità completa o comunque parziale  del paziente. Al nord non è così, mi si dice, nessuno può "assistere" i malati tranne il personale sanitario. Vero, ma è pur vero che in qualsiasi momento della giornata il paziente dovesse avere bisogno di assistenza, nel giro di pochi minuti, se non di secondi, il personale sanitario è presente, e sempre vigile. 
Medici, Infermieri e Operatori sanitari sono a disposizione del malato (mi raccontano che addirittura passano più volte durante la notte  con la lampadina tascabile a controllare i ricoverati ad uno ad uno senza disturbarli). E poi perchè prendere ad esempio sempre il nord? chi dice che il loro sistema sia quello giusto e che quello nostro, magari su questo tema, debba essere viceversa obbligatoriamente quello sbagliato?
Che dire, le polemiche non aprono le porte, ma portano al rancore. Non mi pare di aver mai sentito un primario "richiamare" il Direttore Generale  dell'Azienda per dire "guarda Capo che il mangiare è pessimo,  e i pazienti fanno arrivare le pietanze direttamente da casa": NO, in quel caso i congiunti servono , eccome, e il Direttore non si disturba per queste piccolezze che potrebbero costargli "il posto" ! Pazienti con patologie particolari che si vedono assegnare un'alimentazione senza nessun riguardo alla loro situazione clinica: pane duro, anzi "flessibile", pasta immangiabile e secondi di quarta serie.
Per non parlare dei letti, dove i materassi, già sottili per i fatti loro, sono consumati dall'usura, e dove dormire rimane appunto un "sogno".
Un discorso a parte merita la pulizia dei locali, chiaramente affidate a ditte esterne che nel tempo trascurano i particolari per dedicarsi soltanto a ciò che "si vede".
Questa e tanto altro ancora è la sanità siciliana 2.0, un carrozzone che solo a parlarne vengono i brividi, ma che a viverla diventa devastante. 
Certo c'è di peggio in altre regioni italiane, c'è anche di peggio nei Paesi oltre confine, ma c'è anche di meglio ovunque. Tutto è legato alle "teste buone", rare, ma che esistono. 
Nessuno vigila, se non per far "sentire" chi comanda, e poi tutti si lamentano. Basta un operatore assente perchè ammalato per far bloccare la macchina e inscenare così teatrini e polemiche; i turni saltano, il personale è poco e stressato e per quanto svolto lo stipendio è basso. Forse è tutto vero, ma agli ammalati chi ci pensa????

sabato 23 settembre 2017

Cristiani a perdere!




Non so se vi è mai capitato di trovarvi in Chiesa, durante una messa, e non indovinare mai, o comunque non sempre, durante la celebrazione, il momento in cui bisogna alzarsi o sedersi. Uno strazio quello di seguire gli esempi degli altri, che, anche se hanno l’aria di essere più "preparati" di noi , anch'essi incorrono nell'errore. Una volta, ricordo,  erano i sacerdoti che invitavano i fedeli  a stare "in piedi" o "seduti", ma anche questa possibilità con l'evoluzione "sacerdotale" pare sia svanita.

Meno male che si continuano a stampare i messali per seguire la messa in tutte le sue sfaccettatura, anche perché a parte i fedeli devotissimi, quelli che seguono pedissequamente le celebrazioni (gran parte del cattolici va a messa di tanto in tanto o comunque quando ne sente il bisogno), il resto è poco preparato. Io sono uno di questi, vado a messa cinque, sei  domeniche di fila, se capita anche nei giorni  feriali, e poi uno, due mesi senza neppure  pensarci.

Non ne vado fiero, certamente, perché riconosco che un buon cristiano debba rinsaldare almeno una volta alla settimana la propria spiritualità, avvicinarsi a Cristo e seguire la vita della comunità .
Mi ritengo un peccatore, si, è così, un peccatore non tanto diverso però dagli altri.

Mi rattristo se sento notizie inquietanti nei telegiornali, mi addoloro se ad essere colpiti sono i bambini o i vecchi o anche le mamme, sto male a vedere guerre, morti e disastri, sento di essere inerme davanti a tanto dolore, mi sento impotente e soffro. Ma non reagisco, ma non perché non voglia farlo, ma perché non trovo il modo, il sistema. La ragione non mi aiuta, non trovo rimedio, se non sperare negli altri e disperarmi per questo.

Io penso sempre a nostro Signore, di giorno e di notte. Ovunque vada, una Chiesa non passa mai inosservata ai miei occhi, il segno della Croce è di rito.  Di tanto in tanto la sera dico le preghiere prima di andare a letto, magari quelle due o tre in bella memoria per evitare di bloccarmi mentre ne recito altre che meno conosco.
Quando entro in Chiesa, mi commuovo. Quel profumo, quel silenzio, quell'atmosfera di pace e di amore che in poche altri posti trovi, mi emoziona, e spesso non riesco a trattenere le lacrime che vengono giù copiose.

Durante la messa mi guardo intorno. Trovo di tutto. E lì che mi rendo conto quanto l'uomo abbia bisogno di  Dio.
Guardo una madre che tiene tra le braccia i figli e li bacia teneramente. Gesù Cristo è lì, in quel momento sono sicuro che lui è lì che ci attenziona, ci guarda con intensità e sembra dirci: state tranquilli, qui non può succedervi nulla, siete protetti da me.



venerdì 18 agosto 2017

Caldo siccità e ... desertificazione

Emergenze  dopo emergenze, tutto drammaticamente emergenziale in questo nostro Paese, la bella Italia,  dove i provvedimenti si usa  prenderli sempre dopo le catastrofi.
Oggi l'emergenza di turno è il gran caldo torrido che di anno in anno si fa sempre più soffocante e più longevo, ma anche la siccità che sta travolgendo la penisola , da nord a sud ormai da anni, ma di questo pare che nessuno si fosse mai accorto. Ma visto che questa volta l'emergenza acqua ha toccato la "città eterna", tutti provano a diagnosticare le cause e proporre i rimedi, ma nessuno finora è intervenuto con chiarezza. Tutti accusano i loro predecessori, tutti mettono le mani avanti, ma nessuno che pensi al da farsi per risolvere il problema, ma non ad improvvisare come al solito davanti ad una circostanza critica, ma a risolvere la crisi in modo definitivo, in prospettiva di un futuro che non si presenta benevolo per i paesi prospicienti il mediterraneo.
Le dighe non bastano più, i torrenti e i fiumi passano da un allerta piena ad un allarme svuotamento, e intanto le campagne soffrono la sete e i contadini e gli allevatori sono allo stremo.
Le temperature aumentano, e non si fronteggia il problema così come va affrontato, ma come al solito si organizzano incontri, seminari, congressi e magari qualche G7 o G20 per poter scrollarsi di dosso le responsabilità adducendo agli altri la cattiva scelta di non allinearsi.
L'Italia deve provare a darsi una smossa e procedere anche da sola a rimediare ai danni che l'uomo ha provocato e ai disastri che la natura di contro sta infliggendogli. Piantare alberi e poi ancora alberi, a milioni, è innanzitutto la base per proteggersi dalla desertificazione e dalle alte temperature. Procedere a potenziare il servizio forestale (viceversa ingenuamente smantellato per risparmiare qualche soldo e qualche generale)  per fronteggiare gli incendi e le calamità naturali, ma soprattutto accrescere la flotta aerea antincendio, chiaramente sottodimensionata, ridicola,  e quindi non adeguata a  smaltire le tantissime chiamate di intervento che arrivano, specie tra luglio e agosto,  da tutta la penisola.
Non si riesce a capire perché non si intervenga in tal senso e si lasci viceversa tutto all'improvvisazione . Il problema è strutturale, quindi bisogna agire fin da subito, senza aspettare le catastrofi, riorganizzare  tutto il settore, centralizzare e affidare a gente capace la pianificazione del sistema antincendio e  quello della  forestazione, e soprattutto toglierlo dalle mani delle regioni dove gli amministratori hanno dimostrato chiaramente di essere inaffidabili per tale compito, sia dal punto di vista organizzativo che operativo.
Dissalare l'acqua di mare per ottemperare ai bisogni delle campagne e degli allevamenti e prevenire o quantomeno allontanare lo spettro della desertificazione, sembra il sistema più possibilista nell'imminente , ma nessuno pare interessato, non se ne parla, e non si capisce il motivo. Forse si aspetta la fine totale dell'acqua potabile per inscenare un intervento di vitale importanza per far  credere agli italiani che tutto sommato la nostra classe politica non è del tutto .... assente ma viceversa così  "diabolicamente pronta e capace".

lunedì 24 luglio 2017

I GIOVANI NEL DISASTRO



Quando la certezza diventa precaria diventa precario anche aggrapparsi ai sogni e ai valori che inducono da sempre l’uomo ad andare avanti, a crescere, a  imporsi e a moltiplicarsi. Si a moltiplicarsi, perché il calo delle nascite, problema attuale del nostro Paese, è stato indotto dall’incertezza del domani, del futuro in generale.
La crisi del lavoro, l’anarchia, l’ingiustizia che ormai domina dappertutto , la violenza che dilaga, le famiglie che si disgregano, il crollo della società nel suo insieme , la Chiesa,  che ha da sempre tracciato la strada alle nuove generazioni , ha  generato la fine di uno stato sociale concretizzatosi in decenni e decenni .
I ragazzi, oggi,  non sanno più che pesci prendere.  Disorientati già sui banchi di scuola, bistrattati da una  collettività  che  non  li  riconosce più, che non riesce ad interpretare i loro costumi, il loro modo di vivere, i loro vizi e le loro virtù,  hanno perso lo spazio vitale per integrarsi in una società che nuota nel  disinteresse  e che cresce  nella  paura di perdere quell’identità così cara e così profondamente custodita.
Un ruolo determinante in tutto questo, lo ha avuto l’abbandono al servizio di leva, un anno così odiato e nello stesso tempo tanto amato dagli italiani di tante generazioni. Ricordi che non passano mai, un lasso di tempo che si ricorda dopo tanti anni come fosse stato l’altro ieri. La lontananza dai genitori, il primo viaggio in treno da soli, il primo comando,  la prima vera obbedienza. Il risveglio con l’inno del tuo Paese che accompagna la bandiera nazionale che si alza per sfoggiare i colori degli italiani, mentre dentro  senti i battiti che aumentano e una voglia insormontabile di andare avanti a qualunque costo.
Oggi tutto questo pare qualcosa lontano anni luce. I giovani non conoscono neppure le parole del nostro inno, non sentono più i battiti del cuore aumentare al marciare di una truppa o ascoltando le sirene dei carabinieri che corrono per salvare qualcuno in difficoltà. Non riconoscono il rispetto per gli anziani, o l’autorità dei genitori . Sono per certi versi aggressivi, per altri inconcludenti e timorosi, sfoggiano naturalezza soltanto con i loro coetanei mentre odiano rapportarsi e confrontarsi con il mondo.
Non appena sparirà l’ultima generazione che ha svolto il servizio militare obbligatorio, finirà per sempre il senso della Patria con la P maiuscola, il senso del dovere, l’attaccamento ai valori della nostra nazione, nata e cresciuta sotto le forti e abili spalle dei nostri padri e dei nostri nonni. Oggi tutto pare perso, sperduto tra le chiacchiere dei nostri governanti, sostenuti e disorientati da un benessere ormai apparente e  lobbistico, che non vogliono sentir ragione, che cercano a tutti i costi il progresso, anche se non sanno  cos’è. Esaltano e auspicano un’ ”evoluzione” ad “occhi bendati”, un’italianità erogata (ius soli), una crescita che  proietta l’uomo nello spazio alla ricerca di qualcosa che non interessa che a pochissimi,  con uno spreco di denaro assolutamente insensato, e nello stesso tempo lascia gli ospedali nel disastro più assoluto, le scuole nella precarietà e le nuove generazioni nel limbo.


mercoledì 5 ottobre 2016

CADUTA DI STILE DEL GOVERNATORE E PREVARICAZIONE DI CERTA STAMPA


Continua impietosa la maligna campagna denigratoria contro i dipendenti regionali, tanto che ormai nell’immaginario collettivo  vengono riflessi come il diavolo e i suoi fratelli, come coloro che si destreggiano giornalmente per non far nulla, che rifiutano di lavorare perché arroganti e presuntuosi, che non accettano condizioni che siano diverse da quelle da essi prescelte. Niente di più falso. Il presidente Crocetta, uomo tutto di un pezzo e di grande moralità, decide di licenziare i dipendenti regionali che non “ubbidiranno” al trasferimento d’ufficio, una dichiarazione di per lì buttata giù senza pensarci  su neppure un attimo (come al solito), senza riflettere sulle conseguenze che queste parole hanno sui lavoratori e sulle loro famiglie, additati come ricchi nullafacenti in un paese di poveri e disoccupati. Ingenuo o perspicace  fino al punto di spingersi a dichiarazioni al limite della ragionevolezza?  Prepongo per il secondo aggettivo, visto che il presidente Crocetta è stato fin troppo ingeneroso, già all’alba della sua elezione a Governatore, verso i suoi dipendenti. Queste sue esternazioni hanno dato corda ai vari Sunseri e Pipitone che si sono spinti all’inverosimile, fino all’offesa, definendo addirittura “parassiti” i dipendenti regionali (Giornale di Sicilia del 2/10/2016).

Dopo aver gettato in pasto  al  famelico lettore prevenuto una notizia del tutto infondata e tendenziosa, “i nostri amici” redattori si preparano ad accogliere con disinvoltura i frutti della loro stupidità. Ma dove vogliono andare a parare? La suola della scarpa è ormai  consumata.
Non i macrostipendi dei dipendenti dell’ARS, veri e propri privilegiati, vengono presi di mira dai paladini della giustizia nostrani, ma i dipendenti di Palazzo d’Orléans.
Tremila dipendenti godono della L.104  (tut. Port. di hand.) mentre tremila sono i dipendenti regionali  che usufruiscono delle prerogative sindacali. Un chiacchiericcio che è evidentemente frutto di una cattiva informazione,  ma che ha nel contempo scatenato un putiferio mediatico.